giovedì 26/6 in via Pietralata ore 21 lunedì 30/6 a Trame ore 18

Lunedì 30 giugno alle 18
in libreria
uno strascico della riuscitissima serata di Edizoni Limitate per chiudere la stagione di appuntamenti 2007-2008.

Vi invitiamo a brindare con noi all’allestimento estivo delle pareti di Trame
a cura di Paola Bitelli e Daniela Cerri.

Anna, Nicoletta e Orsola

NOTIZIE DI SERVIZIO
La libreria sarà aperta coi soliti orari per tutta l’estate,
con un periodo di chiusura dal 3 al 17 agosto inclusi.
Se avete richieste di titoli particolari, quasi tutti i fornitori sono aperti anche per tutto il mese di luglio,
e la più parte riprende le attività regolari a partire da lunedì 18 agosto.

Cogliamo inoltre l’occasione per segnalare la seguente iniziativa a cui collaboriamo come libraie.

Giovedi 26 giugno 2008 alle ore 21
Corte di via Pietralata 60
Quartiere Saragozza, Bologna.

Presentazione del libro LA VALIGIA DI AGAFIA di Marta Franceschini (Edizioni Marlin 2008) & Proiezione del film DALLO ZOLFO AL CARBONE di Luca Vullo (Italia 2008, durata 53′)

Interventi di Marta Franceschini, Luca Vullo, Giuseppina Tedde, Gaia Lambertini, Serafino D’Onofrio.

Il fenomeno migratorio degli esseri umani risale a tempi molto antichi.
Le radici dell’umanità affondano nel movimento incessante dei popoli, da un capo all’altro dell’emisfero, perpetuato per millenni.
Noi italiani, com’è noto, discendiamo per lingua e cultura da quell’ondata migratoria conosciuta come invasione indoaria che, dalle steppe della Russia meridionale, si riversa prima in India attraverso l’Afghanistan e poi in Europa attraverso l’Iran a metà del II° millennio a.C.
Tutti gli abitanti attuali del nostro pianeta sono il risultato dell’incontro, spesso forzato, tra genti e razze diverse, mosse tutte dalla stessa improrogabile urgenza: la fame.
A questa va aggiunta, quando la migrazione si fa obbiettivo politico di Stati e Imperi, la volontà di potenza e di sopraffazione: sempre di fame si tratta, anche se non di pane, ma di ricchezze.
La stanzialità di un popolo dipende comunque, in larga misura, dalle sue possibilità di sostentamento, dal livello economico, dalla sua capacità di sopravvivenza in un determinato luogo.
Il Mediterraneo, nello specifico, come ci insegna uno storico della portata di Fernand Braudel, è stato teatro ininterrotto di viaggi, migrazioni e spostamenti, anche in epoche in cui le strade erano poco più di sentieri, oltretutto pieni di insidie e pericoli, a rischio della stessa vita, e al prezzo di incessanti fatiche: nel XIV secolo, quando un viaggio tra Firenze e Parigi durava 22 giorni, l’intraprendenza commerciale fiorentina si spinge, oltre che in tutta Europa, fino ad Atene e Alessandria d’Egitto.
Ma se i libri di storia portano le tracce di empori e banche, di guerre di conquista, e imprese coloniali, tace, purtroppo, la voce di tutti quelli scomparsi nel cammino, vittime silenziose delle ondate migratorie, numeri cancellati dalle loro disgrazie e risucchiati dalla loro mancata importanza.
La storia, si sa, è fatta dalle vite di tutti coloro che nei libri di storia non finiranno mai.
A meno che qualcuno non si metta in ascolto dei loro racconti, per lasciarne poi testimonianza.

E’ il caso di due autori italiani, Luca Vullo, filmmaker nisseno, e Marta Franceschini, scrittrice bolognese.

Nel suo documentario Dallo zolfo al carbone, il giovane regista siciliano, già autore di numerosi cortometraggi dedicati alla sua terra e alla sua gente, ci racconta la dolorosa migrazione siglata dal Patto Italo-Belga del 1946 quando, nell’immediato dopoguerra, il Belgio si rivolse all’Italia per ottenere manodopera da utilizzare nelle miniere, in cambio della materia prima che fatalmente mancava all’industria italiana: il carbone.
Dalle solfatare, dove giovanissimi carusi, fatti schiavi dal bisogno, lavoravano a torso nudo per i pochi anni di vita che le condizioni disumane delle miniere lasciavano loro, furono migliaia i siciliani che scambiarono quel contratto come una benedizione, come un treno da prendere al volo. Il treno infatti partì, ma non per l’agognato sogno: invece, li depositò negli ex-campi di prigionia rimasti vuoti a guerra conclusa, baracche squallide e inospitali, ancora circondate dal filo spinato, e poi giù nelle viscere della terra, nel buio delle miniere, reso ancora più scuro dalla polvere nera che impregna ogni cosa, pelle e polmoni compresi.
Luca Vullo è tornato sui luoghi di quella maledetta illusione, è andato a cercare gli ultimi testimoni viventi di quell’esperienza, e ne ha raccolto le testimonianze, i pensieri, i sentimenti prima che fossero sepolti anche loro, non più dal carbone, ma dalla dimenticanza.
Anche Marta Franceschini con La valigia di Agafia, suo terzo romanzo, ci racconta una storia vera, questa volta dei nostri giorni. Un’altra migrazione, che dalla povertà estrema di un villaggio moldavo, conduce la protagonista prima in Siberia, poi attraverso tutta l’ex-Unione Sovietica fino al nostro paese, sempre inseguendo il solito, ostinato, vecchio sogno: quello di una vita dignitosa.
Anche qui si parte su un treno, le cui fermate saranno fatte di abusi, violenze e tradimenti. Il viaggio diventerà ben presto una fuga disperante che, di orrore in orrore, la porta a piedi scalzi su frontiere spinate, per chilometri di attese, di inganni, di sfinimenti. E, alla fine, in un’Italia che raccoglie e schiavizza i brandelli rimasti, distogliendo per pudore lo sguardo.
Clandestina nel nostro paese Agafia impara, insieme alla lingua, l’umiliazione di chi vive senza diritti, senza protezione e senza tregua.

L’importanza di questi due lavori, e la scelta dell’associazione organizzatrice, Culture di confine, di presentarli insieme, sta proprio nell’aver dato voce a protagonisti della storia altrimenti muti, eroici rappresentanti della nostra civiltà che, senza nessun riconoscimento e basandosi esclusivamente sulle proprie forze, hanno contribuito e contribuiscono a difenderne dignità e valori. Nella speranza che, affiancando queste due esperienze, spettatori e lettori colgano la continuità del fenomeno migratorio e riconoscano, nei drammi di oggi, gli eredi del nostro passato.

Perché nessuno dimentichi più che siamo tutti emigranti, sempre.

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